Vorrei tu fossi quella voce che la sabbia scioglie
Né ego né logo del mar in tempesta ma solo ricordo d’esser bambino
Sconpenserei
Il rimpianto! Dove il mare sussurra un posto
Giù scenderei
Nei remoti scorci di sole
Curioso mi accecherei
Nei labirinti d’amor ai luoghi inaccessibili
Scorrendo senza vento
né respiro in mar aperto
oh oh !! Conchiglia !
voce di lei
come Viola
mi perderei precipitando senza pensare a domani
né nutrirmi né pensare al fondo
Di lei mi consumerei
ascoltando il mare
Questa poesia non è stata scritta da un poeta professionista ma è una dedica alla figlia di Giampiero Cassarà, romano classe ’64 e una vita trascorsa al confine tra la criminalità e l’innata sensibilità letteraria e artistica.
“Non mi ritengo un criminale ma una persona molto curiosa che ha vissuto sempre cercando di varcare i limiti” racconta a Prometeo Libero davanti a una birra fredda allo storico bar trasteverino di San Callisto.
Giampiero, la tua infanzia quanto ha inciso sulla tua irrequietezza e difficoltà nel trovare una collocazione nel mondo?
La mia famiglia era una famiglia tradizionale originaria del Sud, molto possessiva che non voleva che frequentassi certi ambienti di Casal Bruciato, il quartiere dove vivevo da ragazzino
La Roma pasoliniana..
Esatto, con un’umanità molto particolare e dove facevi conoscenze che potevano portarti sulla strada sbagliata. Per la mia famiglia la retta via sarebbe dovuta essere quella di una vita regolare, casa e studio. Ma il mio sentiero era un altro
Quale?
“Ho iniziato sin da quando avevo 10 anni ha fare rapine e crimini, figlie dell’inquietudine di un ambiente familiare opprimente e di un quartiere malavitoso. All’epoca ci chiamavano ‘malandrini’ e non ho vissuto bene l’infanzia. I miei cugini studiavano e io ero la pecora nera della famiglia. La mia università è stata la strada”
Quando avviene il salto di qualità delle tue attività criminali?
A 14 anni ho incontrato il segretario del Fronte della Gioventù di Via Sommacampana. Ero completamente inesperto di vicende politiche ma venivo da una famiglia di sinistra e anche quella rappresentava una forma di ribellione.
Cosa ha determinato questo impegno politico?
Ha aggravato ancora di più la mia confusione e incrinato ulteriormente il distacco con la mia famiglia e con il mio quartiere, che era di sinistra. Tra botte e attentati sono stati anni violenti dove ho rischiato più volte la vita. Intorno ai 18 anni sono stato arrestato per una serie di rapine e sono finito a Rebibbia. Erano i primi anni ’80.
Hai conosciuto detenuti famosi in quegli anni?
Bhe c’era Franco Califano, come esponenti dei NAR e delle Brigate Rosse. Erano anni difficili, avevo perso tanti amici, molti erano in galera e altrettanti erano morti. Oggi parliamo di terroristi ma all’epoca erano tutti ragazzini di 18-20 anni, molti manovrabili e suggestionabili.
Quando è avvenuto il primo contatto con il mondo dell’arte e della letteratura?
Quando sono entrato a Cinecittà per caso. Facevo l’attore, il manovale, il costumista. Ero stato adottato da quegli studios che mi hanno fatto respirare l’arte, la creatività. Ma con l’inquietudine ci ho sempre convissuto
In questa inquietudine qual è stato il ruolo della poesia?
La poesia è riuscita a metterla in forma scritta e a dare forma alle mie sensibilità. Non è il frutto di una scuola ma del mio pensiero intimo e non nasce dall’accademia ma da un percorso umano.
Che temi affronti nei tuoi lavori?
Scrivo di me, tramite le parole e i suoni cerco di tirare fuori le mie emozioni, la mia tristezza. Io per la mia essenza sono stato abbandonato da tutti quanti ed è nei momenti più complicati che ho capito l’importanza di sognare e astrarsi dalla realtà. Non ho potuto vedere tanti posti e la poesia è la mia finestra sul mondo.
Qual è il tuo rapporto con la droga?
Ho avuto una compagna che è morta di AIDS, un’altra che s’è tolta la vita e tanti amici che hanno subito la stessa sorte. Ero un tossico strano, vivevo una vita normale ma nascondevo le angosce del tossicodipendente che si convince che la sua vita sotto controllo. Mi ritengo un sopravvissuto.
Pensi di esserti messo alle spalle questo tipo di vita?
Sì, ma convivrò sempre con questa parte di me. Si tratta di emozioni forti, di fatti che si sono sedimentati nel fondo del cuore. Una vita senza barriere, senza un’idea di cosa fosse conveniente o meno, con sentimenti – anche sbagliati – che hanno prevalso su qualunque forma di razionalità. Come si cancella tutto questo?
Come una macchina in corsa, senza mai frenare, senza mettere mai le frecce..
Ho bucato molte volte e sono andato fuori strada altrettante. Ho guidato con i fari spenti in galleria..
..e quando hai iniziato a rallentare?
Quando ho messo sul volante la coscienza. Ho una figlia di 18 anni che è la cosa più bella che mi sia successa. La vita che ho fatto mi ha tolto amici, familiari, lavoro, libertà e non volevo che mi togliesse anche lei. Vado avanti con la speranza di riconquistare mia figlia un giorno.”
Quali sono oggi le tue maggiori preoccupazioni?
Intanto il luogo in cui vivere, visto che sino a fine giugno sono ospitato in una struttura dei volontari della Vo.Re.Co. ma a fine mese rischio di finire per strada
Cosa ha rappresentato per te il carcere?
Una seconda famiglia, non avendone più avuta una a un certo punto. Sono sempre stato una persona umile da recluso e non mi sono mai pavoneggiato. Forse è per questo che ero benvoluto dai compagni di detenzione
Perché forse eri diverso dal detenuto-tipo che tende ad amplificare le proprie gesta criminali..
Io lo dico sempre, il carcerato è come il cacciatore, prende una quaglia e racconta di aver catturato un elefante.
Che consigli daresti a un ragazzo che rischia di trovarsi in una situazione simile alla tua?
Innanzitutto di non giudicarsi. Un giovane è come una pagina bianca e sono gli adulti che spesso ci scrivono sopra. Non tutti devono fare i poeti, è un’arte anche il fatto di darsi da fare, fare l’imbianchino, il medico, il giudice. Gli direi di non perdere mai la stima in se stesso e di sognare molto, perché i sogni si possono raggiungere nonostante tutto e tutti.”
(in collaborazione con Riccardo Di Stefano)